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La chiave per il VERO appartenere di Steve Hayes | Oct 23, 2019 | Traduzione di Carmen Pernicola

Tutti noi desideriamo appartenere agli altri. Si può vedere nei bambini che piangono perché vogliono la loro mamma. Negli adolescenti che desiderano l’attenzione e l’approvazione dei loro pari. E in molti annunci pubblicitari che attirano il loro pubblico adulto promettendogli che potranno attrarre il partner perfetto (se solo acquisteranno il loro prodotto).

Abbiamo tutti bisogno di appartenenza eppure molti di noi stanno molto male rispetto a questo.
Secondo una statistica recente, la metà circa degli americani si sente spesso sola e lotta per costruire relazioni significative. Questo è grave, perché la solitudine influenza la nostra salute. Come ha scritto il dr. Claire Pomeroy su Scientific American, “E’ stato stimato che la solitudine accorcia la vita di una persona di 15 anni, con un impatto equivalente all’obesità o al fumare 15 sigarette al giorno”.

La lotta per l’appartenenza è molto reale.

Perchè lottiamo per appartenere.

Via via che le nostre capacità cognitive si espandono durante l’infanzia cominciamo a trattare noi stessi e i nostri desideri più profondi come un problema da risolvere e cominciamo ad agire come se ci fosse uno standard da soddisfare per poter veramente appartenere.
Cominciamo a credere che “dobbiamo essere abbastanza speciali” per appartenere – abbastanza belli, abbastanza intelligenti, abbastanza divertenti, abbastanza popolari… o abbastanza bisognosi – e così creiamo delle storie false su noi stessi.

Come una persona che se ne sta davanti all’entrata di un club esclusivo provando a pronunciare la parola d’ordine giusta, facciamo girare una storia su di noi per poter essere ammessi all’appartenenza – ed è una storia personale presentata in modo così convincente, che noi stessi finiamo col crederci.

La storia potrebbe parlare di un'auto stima ipertrofica. “Sono così fantastico, hai bisogno di me” diciamo, pregando che in risposta la porta si apra al desiderio di appartenenza.
O proviamo la strada del ribasso e frignamo “guarda come sono patetico e bisognoso! Di sicuro, devi farmi entrare!”, sperando di essere ammessi.

In entrambi i casi ci arrampichiamo in un abito mentale da clown dell’essere speciali, pensando che sia l’essere speciali la via per l’appartenenza.

Sfortunatamente, anche se dovessimo avere successo con questa strategia, finiremmo col perdere. Se anche le persone ci lasciassero entrare, finiremmo col sentirci alienati e disconnessi, soprattutto perché abbiamo appena dichiarato di essere meglio (o peggio) delle persone con cui desideriamo connetterci. E tristemente quella posizione di intoccabile specialità tende ad allontanare gli altri, dimostrando che le nostre paure più profonde sono vere.

Diventiamo un concetto di noi stessi, non una persona intera. Come una persona che per togliersi la sete beve acqua di mare, cercare di creare appartenenza con la pretesa di essere speciali soddisfa solo per un momento, prima che il vuoto e il senso di alienazione o di disconnessione ritorni peggiore che mai.

Quando si riesce a mostrare questo gioco a perdere per quello che è, si apre un’altra possibilità: abbandonare il gioco e focalizzarsi sul desiderio in sé.

Come creare vera appartenenza

Nel mio nuovo libro A Liberated Mind, mostro come possiamo soddisfare il nostro desiderio di appartenenza senza ricorrere al vestito da clown dell’essere speciali. Possiamo creare un nuovo senso di sé, che riguarda rafforza intenzionalmente l' interconnessione consapevole.

Possiamo lasciare l’autobiografia limitante su chi siamo nel passato e aprire noi stessi semplicemente all’essere qui, connessi con consapevolezza alla consapevolezza degli altri. E quando riusciamo a smettere di strizzare noi stessi in un vestito da clown cucito con le nostre mani, permettiamo agli altri di vedere molto di più del nostro sé reale, che, incidentalmente, favorisce relazioni più profonde e significative. Vediamo i valori e le vulnerabilità degli altri e cominciamo a correre il rischio di condividere e di prenderci cura.

Invece di cercare di trovare la storia che ci permetterà di entrare nel gruppo, possiamo aprire i nostri occhi e renderci conto che nel gruppo ci stiamo già dentro, e ci stiamo da quando altri esseri umani ci hanno portati nel gruppo insegnandoci ad essere consapevoli.

Quando smettiamo di guadagnare l’appartenenza seguendo le sciocche indicazioni della mente problem-solving – possiamo invece espandere la consapevolezza conscia di noi stessi e degli altri per vivere più profondamente il senso di appartenenza e di interconnessione che è già qui, adesso.

Infine, io credo che tutte le forme di inflessibilità psicologica siano manifestazioni di desideri mal gestiti. Questa è la nuova più importante lezione che approfondisco in A Liberated Mind ed è una lezione importante, perché significa che sotto i nostri peggiori errori ci sono dei precisi alleati motivazionali che hanno bisogno di essere rivolti verso nuove direzioni.

Imparando a notare che i desideri aprono ad alternative immediate e salutari, non appena ruotiamo nella direzione di una loro salutare soddisfazione. Questo comporta consapevolezza e richiede pratica, ma è senza dubbio la vostra ricchezza.

Una mente liberata non è così lontana. È solo a un tiro di schioppo – giusto sull’altra sponda della nostra miseria.

Articolo originale: https://stevenchayes.com/the-key-to-true-belonging/